Potrà sembrare strano ma tutti conoscono lo “storytelling”. Basta tradurre la parola in italiano: racconto. Tutti sanno raccontare, tutti usano il racconto nella vita: per incantare i bambini, affascinare gli amici, attirare l’attenzione degli alunni e così via. Anticamente i “cantastorie” facevano proprio questo: attiravano l’attenzione della popolazione ignorante su fatti e su notizie del mondo. Da quando, allora, il racconto è diventato “storytelling”? E a cosa serve oggi, nell’era dell’informatica?
La narrazione non è soltanto quella di cronaca, che descrive esattamente i fatti per come avvengono. In certi casi può essere immaginazione, fantasia, dunque romanzo, racconto. I giornalisti usano lo storytelling per informare, gli scrittori lo usano per immaginare eventi. Nell’era digitale la narrazione serve anche a vendere prodotti e a farlo in maniera originale, senza i toni spesso noiosi e pesanti della pubblicità tradizionale. Un po’ perché è cambiato il mercato, un po’ perché il pubblico legge meno, ascolta meno e va “catturato” con altri mezzi.
Perché le aziende usano lo storytelling
I motivi per cui molte aziende oggi preferiscono lo storytelling al classico e diretto “spot” pubblicitario sono pochi ma precisi. Tramite una narrazione costruita ad hoc, chi vende un prodotto o un evento riesce a:
- Creare un bisogno anche dove non c’è;
- Catturare l’attenzione di chi altrimenti non guarderebbe nemmeno quel prodotto;
- Promuovere un oggetto o un fatto in particolare;
- Dimostrare alla gente che l’azienda non è lontana, è parte di loro, lavora per loro.
Le aziende vogliono entrare nella vita dei clienti e per farlo devono conquistare la loro fiducia. Raccontando storie che le persone ameranno leggere si avvicinano fino a rendersi “amiche” di chi compra, fino a farsi percepire come gente di famiglia, rafforzando così la voglia del prodotto.
Come si fa lo storytelling
Lo storytelling non deve per forza essere una narrazione “scritta”. Anzi, sempre più aziende preferiscono creare video online, storie per i social e simili rappresentazioni per calare il prodotto nella realtà. Per farlo occorre spesso un volto noto, qualcuno di conosciuto. Oppure una persona estranea che però diventi il punto di riferimento di quel brand nel tempo.
La persona che crea lo storytelling deve preferibilmente:
- Usare la prima persona e dare del “tu” al cliente;
- Avere un tono confidenziale da amico;
- Usare poche parole;
- Usare molti riferimenti alle emozioni;
- Usare musica per enfatizzare il momento emozionante.
Ma l’autore di storytelling deve essere anche un acuto psicologo. Deve capire quale pubblico deve conquistare e usare i linguaggi adatti a farlo, cambiando anche gergo se necessario a seconda se si rivolge a giovani o anziani, uomini o donne.
Quando conviene usarlo
Quando è meglio usare lo storytelling invece di un normale spot pubblicitario o del brand journalism? Di solito l’azienda che sceglie questo metodo lo fa perché intende conquistare un certo nucleo di clienti per molto tempo. Li vuole “fidelizzare” in modo che siano loro, dopo un po’, a parlar bene del prodotto ad altri.
Per far questo, deve far sentire queste persone “a casa” e lo fa con una comunicazione che racconta storie di vita normale, avvicinando il mondo delle persone comuni a quello dell’azienda.