C’è un nuovo termine inglese che entra nella giostra delle professioni del futuro, quasi sempre collegate al mondo del marketing (sia che si tratti di marketing tradizionale, sia che si tratti di digital marketing): brand journalism.
Brand significa “marchio” o “marca”, comunque fa riferimento a un nome importante, a un’azienda che vende qualcosa e che è molto conosciuta. Dunque che c’entra questo – un’azienda, un prodotto – con il journalism, il giornalismo? Esattamente quel che sembra.
Il giornalismo che promuove un prodotto, che lo presenta magari in modo non troppo diretto. Un articolo non vi dirà mai “compra la crema X” ma farà capire perché conviene comprare proprio quella raccontando storie, eventi, dati statistici. Ma se questa professione sta prendendo sempre più piede, le polemiche al riguardo, legate alla pubblicità occulta, sono giustificate o no? Vediamo di capire meglio di cosa si tratta e perché, in realtà, bisogna accettare il brand journalism.
Come nasce il Brand Journalism
Il brand journalism nasce dall’idea della MacDonald’s, la famosissima catena di ristoranti americani ormai diffusa in tutto il mondo, e da un suo geniale direttore, Larry Light. In un momento di grave crisi del commercio degli hamburger che aveva messo al tappeto anche le grandi catene di ristorazione, Light decise di rilanciare una nuova immagine legata alla fiducia del cliente.
Far vedere insomma che dietro la grande marca c’erano persone come noi, con le stesse preoccupazioni e gli impegni di ogni giorno. Con l’aiuto di un giornalista, raccontò “cosa succede dietro le quinte di MacDonald’s” rendendo il brand più vicino sentimentalmente al grande pubblico. Lo scopo non era dire “vieni a mangiare un hamburger” ma “aiutaci a lavorare ancora per te”. In tal modo, però, la catena ritrovò proprio il successo che cercava. Il giornalismo aveva fatto pubblicità senza però fare davvero pubblicità.
Come funziona e perché si fa
Perché affidarsi al brand journalism e non ad uno studio pubblicitario, o ancora al nuovo web content editing – cioè creare articoli, anche di promozione pubblicitaria, per il web e i social – per attirare la gente verso un prodotto? Perché il brand journalism “diluisce” il messaggio pubblicitario in un modo che non appesantisce il pubblico. Lo trasforma in storie di tutti i giorni, in interviste, così che la gente provi prima simpatia per il racconto e poi, tra le righe, legga il messaggio.
Se voglio dirti che la mia birra ha cambiato logo, il brand journalist creerà un concorso sui social e poi intervisterà il vincitore che parlerà di quanto ami la birra in generale, di quali persone importanti ha conosciuto davanti a una bottiglia di birra. E poi, distrattamente, farà vedere la maglietta con la marca di birra di cui stiamo parlando. Oppure – se bisogna promuovere uno shampoo – racconterà la storia vera di una ragazza che ha vinto i suoi complessi e cambiato la sua vita grazie alla nuova bellezza dei suoi capelli che, per un caso, ha trattato con quel prodotto.
Pubblicità occulta?
Non sarà un po’ pericoloso pubblicizzare in modo indiretto un prodotto? Non è pubblicità occulta? La risposta è no, perché di fatto sono le aziende che chiamano il giornalista e lo pagano per creare una storia apposta su quel prodotto. Non lo inseriscono fortuitamente, piuttosto lo promuovono “con gentilezza”. È un’arte raffinata che infatti richiede giornalisti di grande esperienza, e non di primo pelo. Meglio se con esperienza di addetti stampa per aziende o eventi e con un linguaggio fantasioso e avvincente.